Il nostro presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, Giuseppe Conte, il 24/03/2020 fece uno dei suoi discorsi alla Nazione. In esso, nella sua fase conclusiva, fece espressamente queste dichiarazioni: “Sono convinto che questa prova durissima che tutti noi stiamo affrontando ci renderà migliori. Perché è il moneto in cui tutti quanti, io stesso, ma credo ognuno, sta riflettendo su quello che ha fatto, sulla propria vita, sul proprio stile di vita, sulla propria scala dei valori. Questa è l'occasione per fermarsi e fare delle riflessioni che di solito non riusciamo a fare per un via vai frenetico. Da questo punto di vista, purtroppo, in queste giornate abbiamo più tempo per riflettere e credo davvero che ne approfitteremo anche per trarne il giusto insegnamento”.
La sua esortazione, affinché gli italiani utilizzassero questo tempo di immobilità per riflettere sui veri valori della vita, fu ridicolizzata e disprezzata da molti. Ciò nonostante, io la apprezzai. Non tanto perché stimi in modo particolare il nostro presidente o la linea politica dello schieramento che rappresenta, ma perché condivido il senso di quelle parole. Ovviamente, quanto detto da Giuseppe Conte difficilmente farà presa su una persona che vive in modo superficiale, su una persona che pensa unicamente al proprio benessere fisico, economico e psicologico come l’essenza più alta della propria esistenza. Tuttavia i cristiani dovrebbero avere una consapevolezza differente. Essi dovrebbero essere consci che, tutto ciò che Dio permette nella loro vita, ha la finalità di allentare la presa su valori secondari ogni qual volta rischiano di sostituirsi al riposo che possono trovare in Lui solo.
Il salmo su cui rifletteremo, nonostante non sia inserito tra i canti dei pellegrinaggi, è incentrato sui sentimenti che pervadevano il cuore di chi si apprestava a compiere un lungo viaggio. Descrive la gioia di chi si recava a Gerusalemme in una delle 3 feste comandate (Pasqua, Pentecoste e Capanne), al fine di poter adorare il Signore nel luogo da Lui stesso designato a tale funzione, ossia il Tempio. Tale gioia era motivata dalla certezza che, alla fine del percorso, si sarebbe trovato al cospetto del Signore.
Il salmo, con i suoi 12 versetti, evidenzia 3 aspetti dell’adorazione:
il desiderio di adorare (1-4), il percorso che conduce all’adorazione (5-8) e la gioia dell’adoratore davanti a Dio (9-12)
1° - Il desiderio di adorare
Salmo 84:1-4 Al direttore del coro. Sulla ghittea. Salmo dei figli di Core. Oh, quanto sono amabili le tue dimore, SIGNORE degli eserciti! 2 L'anima mia langue e vien meno, sospirando i cortili del SIGNORE; il mio cuore e la mia carne mandano grida di gioia al Dio vivente. 3 Anche il passero si trova una casa e la rondine un nido dove posare i suoi piccini... I tuoi altari, o SIGNORE degli eserciti, Re mio, Dio mio!... 4 Beati quelli che abitano nella tua casa e ti lodano sempre! [Pausa]
Questo salmo andava cantato mediante l’accompagnamento della ghittea, uno strumento musicale a corda, una sorta di piccola arpa con le sembianze di una chitarra. Tale strumento era tipico delle zone della Filistia, più precisamente della città di Gat. Gli autori sono i figli di Core. Essi erano dei leviti a cui era stato affidato il compito di custodi e di cantori all’interno del Tempio di Gerusalemme. Secondo il salmo, il pellegrino considerava amabile il Tempio in quanto era il luogo in cui un Dio santo e giusto incontrava il popolo, permettendo ad ogni singolo israelita che lo componeva di poter beneficiare di tale privilegio. Questo Dio era il Signore degli eserciti, termine con cui si definivano le potenti schiere angeliche. Pertanto, con esso si attribuiva a Dio il controllo assoluto sopra le più grandi e potenti creature mai esistite, quelle spirituali. Si esaltavano perciò la Sua onnipotenza ed il controllo assoluto che poteva esercitare in cielo ed in terra.
Nonostante la consapevolezza di doversi recare davanti ad un così grande Signore, l’animo del pellegrino non era affatto terrorizzato, perché conosceva il carattere di quel Dio e sapeva che è misericordioso. Le sue emozioni fanno trapelare l’entusiasmo e l’intenso desiderio di trovarsi nel Tempio per poter adorare il Dio clemente. Tale caratteristica è evidenziata dal fatto che, nonostante la Sua grandezza, permetta agli uccelli del cielo di poter dimorare nel luogo più santo della terra. Alla luce di quanto esposto considerava beate, ossia felici ed invidiabili, le persone che avevano il privilegio di passare molto tempo nei pressi del Tempio, perché potevano avvicinarsi non soltanto ad un Dio santo, giusto ed onnipotente, ma anche misericordioso ed amorevole.
2° - Il percorso che conduce all’adorazione
Salmo 84:5-8 Beati quelli che trovano in te la loro forza, che hanno a cuore le vie del Santuario! 6 Quando attraversano la valle di Baca essi la trasformano in luogo di fonti e la pioggia d'autunno la ricopre di benedizioni. 7 Lungo il cammino aumenta la loro forza e compaiono infine davanti a Dio in Sion. 8 O SIGNORE, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera; porgi orecchio, o Dio di Giacobbe! [Pausa]
Il concetto di beatitudine espresso nel vr. 4 non si limita ad una condizione statica, ma viene ripetuto per altre 2 volte. Se la prima volta che viene nominata è legata ad una condizione desiderabile, la seconda è legata ad un percorso per poterla raggiungere. Questo percorso richiede forza e determinazione, perché è spesso caratterizzato dal dolore e dalle difficoltà. “Baca” significa “piangente” e tale “valle di lacrime” era caratterizzata da una distesa arida lungo il percorso che conduceva a Gerusalemme. Tale era l’entusiasmo dei pellegrini che percorrevano un luogo tanto impervio da renderlo un luogo di festa e quindi pieno di entusiasmo vitale. Tale condizione emotiva e spirituale non faceva che rinvigorire coloro che si stancavano a causa del viaggio, non affatto semplice, fino al loro bramato traguardo, Sion. Tale nome è utilizzato per descrivere sempre Gerusalemme, non vista tanto come luogo geografico fine a sé stesso ma come luogo spirituale e religioso, la dimora di Dio.
Se l’autore sta parlando di un luogo fisico, noi possiamo trarre subito un’applicazione personale. Molti di noi stanno attraversando momenti di afflizione e difficoltà, non solo a causa del virus letale che si diffonde nel mondo, ma anche a causa di svariate altre situazioni e circostanze, perché le persone soffrivano anche prima che il Covid-19 facesse la sua comparsa sul pianeta. Molte lacrime vengono versate ogni giorno a causa del peccato compiuto da noi o da altri. Viviamo in un mondo corrotto che provoca molto dolore. Dio non è né sorpreso né distante dalla nostra afflizione e dalle nostre lacrime, ma le permette per produrre in noi un maggior desiderio di Lui. Vuole spingerci a trovare in Lui nuova forza e pace. Non a caso, l’autore del salmo supplica Dio di ascoltare la sua preghiera, perché la nostra vita di preghiera evidenzia dove stiamo cercando pace. Essa dovrebbe condurci ad una consapevolezza di chi è Dio e dovrebbe allineare la nostra volontà alla Sua. Spesso soffriamo perché, in cuor nostro, abbiamo già deciso ciò che vogliamo che Dio faccia e misuriamo la Sua fedeltà sulla base di ciò che otteniamo rispetto a quello che gli abbiamo chiesto. La nostra preghiera, al contrario, dovrebbe produrre in noi pace e una totale certezza che qualunque cosa permetterà, Dio sa benissimo cosa sia meglio per noi e per la nostra situazione. La preghiera quindi, per essere efficace, deve essere fatta con fede.
3° - La gioia dell’adoratore davanti a Dio
Salmo 84:9-12 Vedi, o Dio, nostro scudo, guarda il volto del tuo unto! 10 Un giorno nei tuoi cortili val più che mille altrove. Io preferirei stare sulla soglia della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi. 11 Perché Dio, il SIGNORE, è sole e scudo; il SIGNORE concederà grazia e gloria. Egli non rifiuterà di far del bene a quelli che camminano rettamente. 12 O SIGNORE degli eserciti, beato l'uomo che confida in te!
Il desiderio di adorare motiva il percorso da compiere per farlo ed intraprendere tale viaggio concede infine la gioia di farlo per davvero. È normale pertanto che la terza ed ultima volta che la beatitudine viene nominata sia associata al raggiungimento del traguardo tanto agognato. Una gioia che avrebbe caratterizzato tutti gli adoratori. Perfino l’unto, ossia il re, avrebbe partecipato a tale adorazione nel Tempio, a dimostrazione che l’autorità divina sovrastava ogni autorità politica e militare di Israele. Per il salmista, anche un solo giorno passato alla porta del Tempio, senza la possibilità di potervi entrare, era preferibile a moltissimi giorni trascorsi in compagnia degli empi, ossia di persone che non avevano alcun rispetto per Dio. Essi potevano sicuramente offrirgli degli agi e delle opportunità, ma non la consolazione del Signore ed il benessere legato ad una relazione intima e personale con Colui che era sole e scudo, ossia che realmente si prendeva cura del suo benessere mediante la provvidenza e la protezione.
L’autore, negli ultimi versetti, ci ricorda che Dio non nega ciò che è buono a coloro che camminano nelle sue vie. Chi ha fiducia in Dio trova pace, mentre la nostra impazienza ed il nostro dolore sono spesso determinati dalla nostra mancanza di fiducia in Dio. Tuttavia, anche quando ci siamo trovati a dover vivere sulla nostra pelle, o su quella delle persone a noi care, le conseguenze del nostro peccato od i risultati di decisioni poco sagge, Dio è sempre intervenuto con la Sua grazia. Dio permette anche quel tipo di dolore, affinché possa tornare ad essere al centro della nostra attenzione e concedere nuovamente un luogo di riposo a dei peccatori pentiti.
Per il salmista la beatitudine era legata ad un luogo di riposo, ossia alla casa di Dio, alla fine del salmo tuttavia la vediamo associata alla fiducia in Dio. Abbiamo tutti bisogno di un luogo di riposo, ovviamente non un luogo fisico ma una condizione in cui poter incontrare il Signore ed avere comunione intensa con Lui. Forse il percorso per raggiungerla passerà attraverso il pianto. Le lacrime sono inevitabili in questo mondo, tuttavia possiamo dar loro una finalità nobile. Spesso, mentre affrontiamo delle difficoltà, siamo tentati a credere che Dio ci abbia dimenticati o che non ci ami. Tuttavia, nel salmo Dio promette di essere il nostro scudo e l’autore desidera spingerci a cercare Dio, trovare forza in Lui e desiderarlo più di ogni altra cosa. La sofferenza può essere un percorso che ci conduce maggiormente al cospetto di Dio, se così fosse, allora le nostre lacrime non saranno state una maledizione, ma una benedizione. Forse saranno proprio la risposta di un Dio fedele ad una preghiera fatta con fede, un percorso doloroso che ci conduce alla gioia.
Patrick Galasso