Dov’è Dio mentre il male si presenta nel mondo? Si interessa alle difficoltà che ogni persona si trova ad affrontare? Ha davvero il controllo su ogni cosa che accade nell’universo visibile e invisibile? Per noi è complesso far collimare l’idea di un Dio sovrano e nel contempo buono ed amorevole perché, secondo la nostra logica, se è buono e ci vede soffrire allora è impotente davanti al dolore, mentre se può agire e non lo fa è crudele. Non può avere entrambi i caratteri insieme. Le due cose, ai nostri occhi, non possono coesistere.

Siamo Uomini che soffrono nelle mani di un Dio sovrano e ci siamo finora posti 2 domande davanti al dolore:
La sovranità di Dio è veramente assoluta? Si. Ha il controllo illimitato su ogni minimo dettaglio delle nostre esistenze.
Posso realmente fidarmi di Lui? Si. Anche se non capisco e spesso non condivido ciò che sta permettendo nella mia vita, Lui sa cosa sta facendo. Dio capisce il mio dolore, mi ama veramente e posso essere certo che utilizzerà la sua sovranità con bontà nei miei confronti.

Se le prime 2 domande costituiscono il cuore dello studio, negli altri 3 sermoni cercheremo insieme di sviluppare ulteriormente i 2 concetti già evidenziati. Oggi ci porremo pertanto questa nuova domanda: Come gestisce la sua sovranità? Scopriremo che è in grado di farlo mediante una saggezza infinita ed in modo profondamente amorevole

Mediante una saggezza infinita

Salmo 147:5 Grande è il nostro Signore, e immenso è il suo potere; la sua intelligenza è infinita.

Una persona può essere definita “saggia” qualora abbia la capacità di fare le scelte migliori a seconda della situazione che gli si presenti davanti. Inoltre, grazie alla sua capacità di giudizio saprà perfino reagire nel modo migliore. Tuttavia vi saranno infiniti fattori che sfuggiranno al controllo del saggio, come le innumerevoli circostanze che si celano dietro a ciò che avrà analizzato e le innumerevoli reazioni e conseguenze che scaturiranno da tali scelte nella propria vita ed in quella altrui. Ciò comporterà quindi che perfino la persona più saggia commetterà degli errori, avrà dei dubbi e dovrà fare i conti con i rimorsi per scelte fatte in modo non sufficientemente saggio. Ma Dio, avendo sotto controllo ogni minimo dettaglio e conoscendone ogni sfumatura, non ha mai dubbi e non può essere sorpreso dai fattori appena citati. La sua saggezza è pertanto perfetta anche quando, in una determinata situazione, nonostante una nostra attenta e ponderata analisi non siamo in grado di scorgere alcun dettaglio che possa glorificarlo o fare del bene al suo popolo. In tali circostanze la nostra fiduciosa obbedienza, la nostra lealtà e la nostra profonda adorazione dovranno pertanto attingere dalla consapevolezza che abbiamo a che fare con un Dio in grado di agire non solo sovranamente, ma anche con una saggezza perfetta.

Romani 8:28-29 Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. 29 Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli

La preconoscenza divina non è legata unicamente alla sua onniscienza (sapeva chi avrebbe creduto in Cristo), quanto piuttosto ad un amore intimo (conoscenza) che Dio nutriva individualmente nei nostri confronti prima che qualsiasi accenno di fede o di ravvedimento si affacciasse nella nostra vita. Nella sua “provvidenza”, attingendo da tale amore, porterà avanti il suo piano per noi usando eventi naturali nefasti, persone malvagie e buone e facendo cooperare il tutto per i suoi propositi eterni. Egli saprà trarre il bene dal male e guidare perfino i piani malvagi del Diavolo e dei suoi angeli per il bene della chiesa, sia terreno che eterno. Dio guiderà ogni evento della nostra vita compresa la sofferenza, le tentazioni ed i peccati che avremo commesso per il nostro beneficio anche se, molto spesso, ciò che nostro Padre chiama bene noi non lo chiameremmo immediatamente allo stesso modo. Infatti, la sua finalità non è necessariamente il nostro benessere o la nostra felicità, ma renderci sempre più simili al Primogenito, in vista dell’eternità. Lui sa perfettamente di quali condizioni necessitiamo personalmente ed individualmente per poter produrre tale risultato. Dio non spera mai di aver fatto la scelta giusta, sa già di averla compiuta. Poiché non sbaglia mai, saprà saggiamente mischiare ogni ingrediente, fatto di circostanze buone e cattive, per renderci sempre più santi.

Salmo 119:71 È stata un bene per me l'afflizione subita, perché imparassi i tuoi statuti.

Sappiamo perfettamente che iniziamo a conoscere intimamente Dio ed a fidarci di Lui solo quando cominciamo a studiare seriamente la sua Parola, la quale agisce nel nostro cuore mediante l’opera dello Spirito Santo in noi. Eppure, sarà unicamente mediante le circostanze che tale conoscenza si trasformerà in esperienza personale ed in forza spirituale. Ad esempio, se vogliamo imparare a vivere il perdono, dovremo attingere dalla Parola le motivazioni e chiedere allo Spirito Santo la forza di viverle. Ma sarà unicamente quando qualcuno ci avrà ferito o deluso che impareremo realmente a concederlo. Ciò comporterà il fatto che non comprenderemo subito la lezione che Dio vorrà insegnarci. Il principio da considerare è che molto spesso i risultati delle difficoltà si riusciranno a scorgere, se non quando essa è terminata, almeno dopo che avrà fatto parte per un po’ della nostra vita. Non a caso, il salmista parla di un’esperienza passata.

Giobbe 42:5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l'occhio mio ti ha visto.

Stando a quanto il libro afferma, Giobbe, l’uomo più integro della Terra dei suoi tempi, non seppe mai della sfida in corso tra Dio e Satana nei luoghi celesti. Ciò nonostante, non si trovò unicamente ad essere un’inconsapevole pedina su una scacchiera spirituale, perché la finalità divina è sempre molteplice. Nella sua infinita saggezza, Dio porta avanti sempre molti progetti. Se da una parte vuole sconfiggere il Maligno, che stoltamente continua a sfidarlo, dall’altra vuole benedire chi lo teme. Non saremo mai colpiti “involontariamente” dal “fuoco amico”. Infatti Giobbe, prima della sua guarigione, della consolazione dei suoi familiari e prima che il benessere cominciasse nuovamente a far parte della sua vita poté realizzare che, attraverso le prove affrontate, riuscì a stabilire una relazione personale con Dio molto più profonda di prima. Affermò di conoscere molto più intimamente quel Dio verso cui, in precedenza, aveva unicamente un timore reverenziale. La grandezza, la saggezza e la bontà divina non gli furono mai così chiare se non dopo la grande sofferenza che dovette affrontare. Ribadisco che Giobbe non seppe mai il “perché” complessivo delle sue prove ed è importante accettare il fatto che la sua esperienza, molto spesso, accomuna noi tutti. Se riteniamo che la nostra preghiera sincera e fiduciosa sia l’elemento che ci permetterà di ottenere tutte le risposte, siamo degli illusi.

Salmo 10:1 O SIGNORE, perché te ne stai lontano? Perché ti nascondi in tempo d'angoscia?
Salmo 22:1 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito!
Salmo 74:1 O Dio, perché ci hai respinti per sempre? Perché arde l'ira tua contro il gregge del tuo pascolo?

In 3 versetti, abbiamo letto per 5 volte l’avverbio “perché?” pronunciato da 3 autori diversi in 3 circostanze e periodi storici differenti. Questi Salmi iniziano tutti con delle domande legate a delle prove particolarmente ardue per cui i salmisti non sembrano aver ottenuto risposta. Tuttavia, ciò che li accomuna non è unicamente la mancanza di una risposta, ma il fatto che i 3 salmi finiscono con una fiducia rinnovata in Dio, seppure la prova non sia ancora stata minimamente alleviata dal Signore.

Isaia 55:8-9 «Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie», dice il SIGNORE. 9 «Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri.

Dobbiamo sempre ricordare con chi abbiamo a che fare. Le vie di Dio sono il frutto dell’elaborazione di una saggezza infinita, con delle diramazioni e delle sfumature di una portata così vasta che non potrebbero mai essere decifrate, comprese e schematizzate da menti limitate come le nostre. Sicuramente ne afferreremo qualcuna, tuttavia non riusciremo mai a comprendere tutte le motivazioni che si celano dietro le circostanze che lui permette nella vita degli uomini. Pertanto, se il tentativo di giustificare Dio per le sue azioni diviene ridicolo da parte di chi confida in Lui, la pretesa che Dio si giustifichi per le proprie azioni manifesta tutta l’arroganza di chi lo sfida quotidianamente con scelte opposte alla Sua volontà, con l’illusione di non doverle affatto giustificare davanti all’Onnipotente.

Gli eventi della nostra vita non sono un insieme di circostanze scollegate che semplicemente “capitano”. Un credente realizzerà la pace in Dio durante le prove unicamente quando cesserà di chiedersi costantemente cosa ha fatto di male per meritarsi questo, oppure quando finirà di coltivare l’illusoria convinzione che Dio gli debba delle spiegazioni. La consapevolezza che suo Padre sta sovranamente guidando gli eventi, con una saggezza infinita che ne dirige meticolosamente ogni minimo dettaglio fino alla sua finalità prefissata, gli deve bastare. Un giorno infatti sa che avrà il privilegio di poter vedere il disegno completo, quando il progetto si manifesterà in tutta la sua bellezza alla gloria di Dio e per il bene dei suoi figli. Questo non deve spingerci ad essere asettici davanti alle sofferenze che ci toccano da vicino o che colpiscono il mondo che ci circonda. La nostra responsabilità è agire, per quanto possiamo, sia direttamente che indirettamente, mediante la preghiera. Coltivando tuttavia la certezza che il Dio onnisciente ed onnipotente sta attivamente governando quel creato che ha desiderato portare all’esistenza con infinita saggezza.

In modo profondamente amorevole

I bambini, nel momento in cui vengono ripresi con il tono della voce dai propri genitori oppure mediante una disciplina fisica, credono che non gli si voglia più bene. Crescendo, iniziano a capire che anche dietro tali gesti si nasconde un grande amore per loro ed una cura particolare per il loro sviluppo emotivo e spirituale. Comprendono che l’amore dei loro genitori non è unicamente legato alle emozioni piacevoli, ma anche all’essere disposti a soffrire per i figli sacrificandosi per il loro bene. Tale sacrificio non termina dopo il lavoro, la preparazione della cena o con l’accudirli nelle prime necessità, ma si manifesta anche rinunciando alla propria tranquillità e sacrificando ulteriore tempo personale per disciplinarli. Eppure tale lezione, che normalmente impariamo per quanto riguarda le relazioni familiari, difficilmente riusciamo ad applicarla nel nostro rapporto con Dio.

Lamentazioni 3:19-23 Ricòrdati della mia afflizione, della mia vita raminga, dell'assenzio e del veleno! 20 Io me ne ricordo sempre, e ne sono intimamente prostrato. 21 Ecco ciò che voglio richiamare alla mente, ciò che mi fa sperare: 22 è una grazia del SIGNORE che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite; 23 si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà!

Anche Geremia, nel vedere la distruzione che il popolo babilonese stava compiendo in Giuda, fu sconvolto. Apparentemente, Dio era lontano oppure osservava impotente la manifestazione di tale crudeltà verso coloro che amava. Eppure, quando smise di concentrarsi unicamente sulle circostanze e ricordò sia la sovranità che la bontà divina, comprese che tale gesto non manifestava crudele disinteresse, ma era un atto di amorevole correzione verso un popolo che, mediante l’idolatria, si stava autodistruggendo.
“Compassioni” è un termine ebraico che include l’amore, la grazia, la misericordia, la fedeltà ed il perdono. Se tale atteggiamento non era estinto nel cuore divino, per drammatica che fosse attualmente la condizione del popolo, Dio non avrebbe smesso di usare bontà.

Il suo amore per noi è immutato ed immutabile, sia nei momenti di benessere che di grande e grave difficoltà. La certezza del suo amore immutato è fondamentale per non rendere il Dio sovrano un tiranno il quale, pur potendo fermale il male, sceglie a volte di non farlo. Minare l’idea della bontà divina è un vecchio stratagemma diabolico. Se ci pensiamo bene, ciò che Satana fece con Adamo ed Eva fu proprio mettere in discussione la bontà e la generosità di Colui che li aveva creati con infinita potenza e saggezza.

1 Giovanni 4:8-10 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9 In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo. 10 In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati.

L’apostolo Giovanni è chiaro: non abbiamo la possibilità di parlare di amore in modo credibile se non conosciamo Dio per esperienza diretta. Lui stesso è amore e ciò che non riflette i suoi caratteri è semplicemente un banale e sterile sentimentalismo. Se per sua natura Dio è amore, non potrà mai smettere di essere amorevole, ossia propenso a manifestare tale amore verso le sue creature ed i suoi figli. La prova più grande di tale amore fu offrire il Figlio “unigenito”. Tale termine descrive il rapporto eterno di Gesù con il Padre, la sua preesistenza e l’unicità di tale relazione. Nonostante la forza e l’intimità di tale relazione, lo inviò nel mondo per essere il nostro sacrificio “propiziatorio”. Tale termine si rifà al coperchio dell’arca dell’alleanza contenuta nel luogo santissimo del Tabernacolo prima e poi del Tempio. Su di esso, una volta l’anno, il sommo sacerdote spruzzava il sangue del sacrificio durante la festa delle espiazioni. Tale gesto rendeva Dio “propizio” (favorevole) e placava le sue esigenze di santità e giustizia.

Nessuna tragedia umana, anche quella che riteniamo maggiormente in grado di terrorizzarci o sconvolgerci, potrà mai essere minimamente paragonata all’inferno, ossia la separazione eterna dal Creatore. Se Dio infatti è luce, amore, gioia e pace, essergli lontani significa un’eternità proiettata nelle tenebre, nella paura, nell’angoscia e nel dolore spirituale.
Davanti a tale consapevolezza si manifestò il più grande atto d’amore di Dio per l’umanità, offrire una vittima innocente e caricarla dell’ira divina al posto dei colpevoli peccatori.
Sia il Padre che il Figlio furono disposti a pagare il prezzo del nostro riscatto da tale drammatica (e per noi irreversibile) condizione, il primo offrendo il Figlio ed il secondo deponendo volontariamente la vita affinché noi potessimo ottenerla. Questo ci ricorda che la necessità più grande di tutti coloro che stanno soffrendo per qualsiasi motivazione possibile non è la liberazione da tale prova, in quanto, prima o poi, ne arriverà una successiva. Piuttosto, è la liberazione dalla morte spirituale, ossia dalla separazione da Dio, prima che tale condizione divenga irrimediabilmente immutabile ed eterna.

Romani 5:8 Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

Tale gesto non fu compiuto per persone amorevoli, come il pompiere che sacrifica la vita per salvare dei rispettabili cittadini dalle fiamme di un palazzo. Lo fece per persone che lo odiavano nei pensieri e nelle parole, nei gesti compiuti e nelle omissioni rispetto a quanto avrebbero dovuto compiere. Infatti, se l’essenza della Sua volontà per noi è l’amore rivolto verso di Lui ed il prossimo, ogni essere umano dirigeva tale amore verso sé stesso, concentrandosi unicamente sulle proprie ambizioni, sui propri desideri e sulla ricerca del piacere personale. Cercando di trarre un profitto perfino dalle cosiddette “buone azioni”, compiute per compensare le proprie mancanze o per nutrire la propria autostima.

La consapevolezza dell’amore con cui Dio ci ha amato quando eravamo lontani da Lui deve essere ora contestualizzata nella saggezza sovrana con cui permette, nella nostra vita, la sofferenza.

Romani 8:32, 38-39 Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui? 38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

La forza retorica della domanda di Paolo è profonda quanto la sua applicazione. Se ti ha amato al punto da spingersi all’estremo sacrificio, come può dunque abbandonarti ora, mentre una specifica circostanza sta colpendo la tua vita? Se Lui è sovrano, saggio ed amorevole non ci saranno autorità umane o demoniache od eventi fortuiti catastrofici che potranno ostacolare il Suo progetto per te.

La garanzia della manifestazione di tale amore è racchiusa nella preposizione “in”. Gesù, chiaramente consapevole di tale progetto spirituale, ne parla ai propri discepoli mediante la metafora della vite e dei tralci, organicamente legati insieme. Noi siamo in Cristo. Siamo stati spiritualmente uniti a Lui ed a lui legati. Il senso è questo: come l’amore del Padre verso il Figlio è immutabile, così l’amore verso chi è spiritualmente a Lui innestato sarà immutabile, perché ci vede in Lui. Dato che siamo uniti a Cristo, Dio non ci abbandonerà mai. Questo comporta il fatto che condivida con noi le nostre stesse afflizioni.

Isaia 43:2 Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà

Questa promessa, direttamente rivolta al popolo di Israele, possiamo applicarla anche a noi. Dio non permetterà unicamente che la prova ci colpisca, perché promette di affrontarla insieme a noi. Quindi le acque ci bagneranno, tuttavia senza farci annegare e le fiamme ci scotteranno ma senza distruggerci, perché Lui le affronterà con noi. L’amore di Dio per noi è una condizione costante. I nostri dubbi non lo potranno spegnere né la nostra fede alimentare. Tuttavia la seconda condizione, a differenza della prima, ci permetterà di sperimentarlo in modo costruttivo ed appagante.

2 Corinzi 12:7-10 E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. 8 Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; 9 ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. 10 Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.

Molti commentatori biblici ritengono che la spina (lett. “picchetto”, quello usato per fissare le tende) di cui L’apostolo parla sia in realtà una grave malattia agli occhi. Personalmente, mettendo insieme ciò che emerge nelle sue lettere ed in alcuni episodi del libro di Atti, lo credo anche io. Qualsiasi cosa fosse quella spina nella carne, possiamo essere certi di 2 cose: Satana ne era la causa diretta e Paolo avrebbe voluto sbarazzarsene al più presto. Questo era più che comprensibile. Ma Dio aveva piani differenti per lui e non lo permise. Paolo implorò Dio per 3 volte di togliergli quella “spina”, imitando in tutto il proprio Maestro nel Getsemani, fino a quando, davanti ad una risposta negativa, comprese che la grazia divina lo avrebbe reso capace di accettare tale condizione come maggiormente vantaggiosa rispetto alla salute. Tale dolore, che per Satana aveva lo scopo di limitare il campo d’azione di un così efficace messaggero del vangelo di Cristo, agli occhi di Gesù aveva come finalità quella di proteggere Paolo dall’orgoglio, aveva uno scopo benevolo e terapeutico per il suo cuore.
Il Signore pertanto avrebbe potuto impedire tale sofferenza o farla cessare in qualsiasi momento, ma non lo impedì volutamente. Tuttavia, non si limitò a permettere tale circostanza, perché fornì all’apostolo anche gli strumenti per poterla vivere nel modo più costruttivo possibile. In altre parole non lo abbandonò a sé stesso, ma lo sostenne in modo sovranamente potente e lavorò il cuore di Paolo fino a permettergli di rallegrarsi di una condizione momentaneamente svantaggiosa perché, mediante essa, sarebbe riuscito a conoscere meglio e per esperienza la potenza di Dio. Possiamo quindi ritenere che non solo il Signore volesse lavorare sulla tendenza ad inorgoglirsi dell’apostolo, ma anche insegnargli a non appoggiarsi sulle sue risorse, ma su quelle di Cristo.

Siamo Uomini che soffrono nelle mani di un Dio sovrano e ci siamo posti questa nuova domanda: Come gestisce la sua sovranità?
I° Mediante una saggezza infinita … perché Lui non spera mai di aver fatto la scelta giusta, sa già di averla compiuta.
II° In modo profondamente amorevole … perché se Dio ci ha amato quando eravamo lontani da Lui, ancor più ci amerà ora che siamo stati riconciliati con Lui “in Cristo”.

Dobbiamo chiedere al Signore la capacità di ribaltare il nostro consueto modo di leggere gli eventi. Siamo propensi a vedere l’amore di Dio attraverso le circostanze della nostra vita, mentre dovremmo leggere le circostanze della vita alla luce della consapevolezza dell’amore di Dio per noi.

Patrick Galasso